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Quella dipendenza presenta diverse analogie con ciò che si è verificato negli Stati Uniti in questo decennio, con l'afflusso di denaro dalle economie emergenti, soprattutto asiatiche: un apparente miracolo economico che si basava in realtà sulla disponibilità dei cinesi a prestare soldi all'America. I fallimenti bancari del 1931, e del settembre 2008, hanno scosso la fiducia del creditore internazionale: allora gli Stati Uniti, oggi la Cina.
Entrambe le lezioni - quella sulla lentezza e la difficoltà della ricostruzione del settore bancario e quella sulla dipendenza da un grande fornitore esterno di capitali - sono sgradevoli. Per lungo tempo è stato molto più facile ripetere il mantra rassicurante di una comunità mondiale che aveva imparato, nel suo insieme, come evitare un tracollo in stile 1929, e che le Banche centrali di tutto il mondo lo avevano chiaramente dimostrato in occasione di crisi come quella del 1987 o quella del 2001.
I governi indubbiamente meritano elogi per aver stabilizzato le aspettative, e dunque per aver impedito che la crisi si aggravasse. Ma quando i governanti spacciano proposte politiche semplici, se non proprio semplicistiche, come fondamento della speranza di poter evitare un lungo periodo di difficili aggiustamenti economici, questo è fuorviante.
L'autore è professore di storia e affari internazionali alla Princeton
Copyright: Project Syndicate, 2009
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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